portrait de Roheim - Emeline Hayward North - 1950

- Geza Roheim -

 

Questa versione italiana è una versione sintetizzata della totalità delle nostre pagine sulla vita e l'opera di Géza Róheim. Ringrazio il signor Ali Medjtouh per la traduzione.espaceP. Fermi

 

 

Géza Róheim : una vita tra l’etnologia e la psicoanalisi

 

Géza Róheim è il primo etnologo ad aver ricevuto una formazione psicoanalitica. È per questa qualifica che Sigmund Freud gli chiese di rispondere alle critiche di Bronislaw Malinowski. A quell’epoca, siamo negli anni 20, Malinowski aveva già una posizione eminente nell’ambito dell’etnologia. Forte di un’esperienza di terreno ineguagliata fino allora, forte di un’ opera straordinaria, Argonauti del Pacifico occidentale. Riti magici quotidiani nella società primitiva, forte del sostegno dei più illustri antropologi inglesi, da Sir Frazer a G. Seligman, e forte di una personalità poco comune, le sue critiche avevano fatto vacillare in un certo modo la tranquilla certezza del mondo della psicoanalisi. Quali erano i dati della controversia ?

Con Totem e Tabù, Freud si era già arrischiato fuori dal campo clinico ma gli autori dai quali aveva preso in prestito i materiali etnologici si situavano in un’ ideologia evoluzionistica in declino. Assieme a Franz Boas, fondatore dell’antropologia culturale, Malinowski, fondatore dell’antropologia funzionale, era appunto uno degli avversari più accaniti in questa lotta contro l’ideologia evoluzionistica. Si capisce quindi quanto fosse avviata male la psicoanalisi per far accettare le sue ipotesi fuori dal suo campo iniziale : la psicologia patologica. Invece è proprio contro questo fatto che Malinowski formulava le sue critiche. Contestava per esempio l’esistenza dell’erotismo anale, momento essenziale dello sviluppo libidinale. A questo proposito, conosciamo la famosa osservazione che Freud fece a Róheim che gli riferiva questa critica : « Was, haben denn die Leute keinen Anus ? »[1]. Questa gente, erano gli abitanti delle Isole Trobriand, società caratterizzata da un sistema di parentela matrilineare in cui Malinowski mostrava con brio il ruolo fondamentale dello zio materno. Sostenne perfino che i Trobriandesi ignoravano la funzione genitrice del padre. Ma il più grave era la conseguenza di tutto ciò : la contestazione del carattere universale del complesso di Edipo, uno dei fondamenti della psicoanalisi.

Ernest Jones, psicoanalista inglese, aveva certo tentato di rispondere alle obbiezioni di Malinowski ma l’aveva fatto in modo inadeguato senza integrare veramente i dati etnografici. Freud, Ferenczi, Vilma Kovàcs considerarono allora che Róheim fosse la persona più competente per fare la congiunzione tra psicanalisi e antropologia. Appoggiato da questo gruppo e con il sostegno finanziario della principessa Bonaparte, Róheim e sua moglie Ilonka organizzarono quindi un viaggio di studio che, in qualche modo, sarebbe stato anche quello della loro vita dato che un ritorno vero e proprio in Ungheria diventerà impossibile qualche anno più tardi a causa della crescita del nazismo. Chi era Géza Róheim ?


La culla ungherese

Róheim è nato pressappoco con Budapest [2], con la fine dell’impero degli Asburghi e l’emergenza dell’Ungheria moderna. Nacque il 12 settembre 1891 e fu l’unico figlio di una famiglia ebrea di ricchi commercianti. Roger Dadoun, al quale si deve l’unica ricerca [3] seria e inevitabile relativa alla biografia e all’opera di Róheim, riferisce : « (che) all’età di appena undici o dodici anni, suo padre gli aprì un conto presso una delle più rispettabili librerie di Budapest, che cominciò a frequentare allora in modo assiduo. ». È anche una storia di libri di cui si ricorderà un altro famoso psicoanalista, René Spitz : « Géza Róheim aveva circa cinque anni quando feci la sua conoscenza… Abbiamo conservato entrambi lo stesso ricordo : mi fece conoscere Alice al Paese delle meraviglie, e in quanto a me gli diedi il suo primo libro di folklore, Le Mille e una notte… ».

Book - RoheimRóheim fu non solo un divoratore di libri, ma anche un amante della buona tavola e del vino, confidando ad uno dei suoi studenti di non aver bevuto uno solo bicchier d’acqua da quarant’anni. Il suo precoce interesse per il folklore, Róheim lo attribuirà a un nonno narratore di storie della mitologia ungherese : « È così che la domanda “Da dove vengono i bambini ?" fu, per conto mio, assolutamente spostata in direzione dell’antropologia. ».Nel 1909, l’anno del suo esame di maturità, fece la sua prima conferenza alla Società Etnografica ungherese sulla mitologia della luna. La sua formazione universitaria si svolgerà a Budapest e Berlino (1911) con un semestre a Lipsia. Ottenne il suo diploma nel 1914 con la materia principale : la geografia. Interessato molto presto dalla psicanalisi di cui « …accettavo senza troppe reticenze il principio generale… », incominciò un’ analisi con Sándor Ferenczi poi con Vilma Kovàcs [4]. Incontrò Freud nel 1918 al Congresso di Budapest.
È da notare, come lo fa Jean-Michel Palmier [5],  l’importanza del clima intellettuale di Budapest in quell’inizio del XX° secolo. Liberata dall’impero austro-ungherese, l’Ungheria era allora attraversata sia da movimenti nazionalisti e rivoluzionari che da movimenti di ri-appropriazione del proprio fondo culturale assieme a uno slancio verso l’ovest. L’opera poetica e la personalità d’ Endre Ady rappresentano una condensazione straordinaria di questa vitalità. Róheim ha vissuto la sua gioventù e gli anni di formazione in una Budapest dove si discuteva di Baudelaire alle terrazze dei caffè, dove Bartók attingeva la sua opera dal folklore contadino, dove l’effervescenza intellettuale si concretizzava in riviste il cui campo si stendeva dalla letteratura alla sociologia come Nyugat (Occidente), e Huszadik Század.

Solo una decina di anni separano l’incontro con Freud e Ferenczi (1908) dal governo comunista di Béla Kun (1919) che darà un riconoscimento ufficiale alla psicoanalisi, il primo nella storia e forse l’unico ad essere così palese. Kincsõ Verebélyi contesta, sulla base di ricerche svolte al Museo Nazionale Ungherese, che una cattedra d’etnologia sia stata creata per Róheim : « Risulta che Róheim è stato solo invitato a dare conferenze all’università… ». Comunque quel periodo fu breve. Il governo contro-rivoluzionario dell’amirale Horty formatosi nell’agosto 1919 cacciò via i comunisti e i loro simpatizzanti da tutti i posti ufficiali.

Un Comitato Politico d’Epurazione esclude Géza Róheim. Così dopo aver avuto un posto alla Biblioteca Széchenyi del Museo, aver fatto dei lavori sul folklore ungherese, esser stato caporedattore di una serie di « Saggi d’Etnopsicologia », Géza Róheim sparirà dall’etnografia ufficiale ungherese e tranne qualche eccezione non pubblicherà più nella sua lingua materna. Questo fatto non fu certo senza coseguenze sul vissuto psicologico di Róheim. Le vicende della Storia lo condussero ad esiliarsi e a diventare cittadino americano ma fu accompagnato da sentimenti dolorosi. Basta conoscere una delle sue ultime volontà per capire il suo affetto indefettibile per la sua terra natia :  « …che si ricopra la mia tomba con l’antica bandiera ungherese, e che non si gettino fiori perché tutta la gente possa vederla. ». Géza Róheim morì a New York nel 1953, qualche settimana dopo la scomparsa di Ilonka e, coincidenza commovente, gli era stato appena consegnato il suo ultimo libro, Le porte del sogno.


Viaggi verso le porte del sogno

Fino al 1928 Róheim farà molta etnologia psicoanalitica su documenti. Fra i suoi lavori, quello sul totemismo australiano verrà notato da Freud all’inizio degli anni 20. Però come lo scriverà lui stesso : « In camera, a casa mia, non si può fare etnologia valida (wissenswert) »[6]. Le obiezioni di Malinowski crearono quindi l’opportunità di « lasciare la camera » per intraprendere un periplo attraverso il mondo. Questo viaggio porterà successivamente la coppia a Aden e a Gibuti, nelle varie regioni d’Australia, in Nuova Guinea, di nuovo in Australia poi in Arizona nella riserva degli Indiani Yuma. Dopo una serie di conferenze a Chicago, New York, Parigi, i Róheim torneranno qualche anno a Budapest prima di dover esiliarsi negli Stati Uniti nel 1938.

Per due anni, Róheim lavorerà all’ospedale di Worcester nel Massachusetts. Magia e schizofrenia, pubblicato dopo la suo morte, narra una parte di questa esperienza, più precisamente quella di un ascolto attento e prolungato presso un paziente. Róheim definirà la schizofrenia come la psicosi per eccellenza il che spiega il titolo della pubblicazione. Si stabilirà quindi a New York dove aprirà uno studio, parteciperà alla vita dell’Istituto di Psicoanalisi, scriverà numerosi articoli e pubblicherà diverse opere tra cui la famosa Origine e funzione della cultura sulla quale ci soffermeremo più avanti.

Sembra che sia l’incontro con gli Australiani, intesi qui come autoctoni o aborigeni, che è stato per lui non solo la più fruttuosa delle esperienze ma quella in cui  ha vissuto evidentemente « un controtransfert positivo ». Nella sua introduzione a Le porte del sogno pubblicazione fenomenale e condensata della sua opera, Róheim scrive :  « quante porte mi sarebbero rimaste chiuse se gli ‘esseri eterni del sogno’, gli altjiranga mitjina, non me ne avessero spesso dato le chiavi ! ». Gli esseri eterni del sogno sono una nozione difficile da afferrare, al meno per le menti foggiate alle rappresentazioni religiose più comuni. In un’altra pubblicazione, Gli eterni del sogno,(The Eternal Ones of the Dream),  Róheim riferisce le numerose discussioni attorno ad altjira e ai suoi derivati, discussioni che continuano ancora oggi. Nei gruppi dell’ovest la parola tjukurpa è l’equivalente dell’ altjira del gruppo Aranda (Arunta). Queste parole indicano nello stesso tempo una storia mitica, il tempo o l’epoca in cui si svolge il racconto, il sogno nel senso proprio. Altri problemi si aggiungono a questa polisemia. Così questo periodo è simultaneamente passato, presente, futuro e questo sogno è designato come tale (esistono altri termini) solo quando la persona che dorme pensa di aver sognato una storia mitica. Il Tempo del Sogno (Dream Time) crea il Reale, non in un senso equivalente a « Dio ha creato il mondo » ma in quello che il Reale, si manifesta e si carica di significazioni solo in riferimento a storie sognate. La geografia stessa ne porta testimonianza. Una specialista di questo universo, Barbara Glowczweski ha potuto scrivere : « …i racconti mitici di esseri ancestrali totemici che, viaggiando, hanno segnato con le loro tracce i siti terrestri in cui vivono per l’eternità… » [7].

In una prospettiva psicoanalitica, si è tentati di interpretare questo come il fatto che la realtà ci sia data da percepire soltanto dopo che un fantasma ha potuto costituirne il quadro sensato. D’altronde Freud sin dalla sua opera fondatrice Die Traumdeutung non spiegava in modo diverso la costruzione della realtà partendo dalla mancanza e dal desiderio presso il lattante. Questa interpretazione potrebbe in parte spiegare il controtransfert positivo di Róheim. Gli Australiani, come fu il caso dei Mojavi di Georges Devereux, « parlano » comme la psicoanalisi [8]. È così che Devereux esprimeva la loro influenza sulla propria adesione a questa teoria, influenza che non avevano i Sedang del Vietnam nei confronti dei quali Devereux diceva di provare un controtransfert negativo. A questo proposito vedremo più avanti come le concezioni di Róheim relative alla cultura potrebbero contribuire ad interpretare questi controtransfert.


L’infanzia prolungata

Géza Róheim fu fino alla fine della sua vita uno degli psicoanalisti più fedeli a Freud e uno dei più ortodossi nei confronti della dottrina.Invece prenderà le distanze da una ipotesi sottostante al Totem e tabù, quella d’una trasmissione filogenetica degli eventi immaginati nel mito dell’orda primitiva, cioè la coalizione dei fratelli per amazzare il padre, tiranno  originario. Si sa che per Freud, questo omicidio e i sentimenti ambivalenti che ne derivarono, sarebbero stati il momento fondatore della cultura e della religione.

Róheim è d’accordo sulla « struttura » di questo racconto ma ne propone una visione ontogenetica che integra gli elementi pre-genitali dello sviluppo libidinale. Il suo punto di vista viene a sostituire la concezione filogenetica freudiana. Perciò ricorrerà in particolare alle concezioni di Mélanie Klein. Róheim esporrà così una visione che gli è propria, quella de La teoria ontogenetica della cultura. Lo farà in diversi scritti ma è nell’ Origine e funzione della cultura (1943) che si può trovare la forma più compiuta.

Per capirne tutti i particolari, bisogna comunque passare da una concezione sulla quale Róheim rinforza la sua analisi : la teoria della fetalizzazione dell’anatomista ollandese Bolk (1866-1930). In realtà, questa teoria rientra nel quadro più generale del fenomeno di neotenia. Secondo la definizione di Lazard Lieba « La neotenia vera (o totale) è la capacità che possiede un organismo animale a riprodursi pur conservando una struttura larvale o immatura. ». Nonostante il suo carattere strano, questo fenomeno non è affatto eccezionale. La sua distribuzione è molto larga dato che lo si può incontrare sia presso certi insetti che presso certi batraci. Basandosi sulla neotenia, e questo al livello filogenetico, Bolk considera l’uomo come « …un feto di primato genericamente stabilizzato.”. Non possiamo sviluppare qui questa parte però bisogna sapere che numerosi lavori in biologia e in genetica rinnovano l’interesse per questa concezione. Questo processo di ritardo implicherebbe una lunga dipendenza nei confronti degli adulti e quello che potrebbe apparire come una debolezza si trasforma per necessità in un potenziale adattativo. In quest’ambito l’uomo non si distingue realmente dagli altri primati al di fuori dell’importanza quantitativa della sua incompiutezza.

Possiamo pertanto capire meglio la concezione di Róheim che considera che l’immaturità del bambino umano e questo spazio aperto per l’infanzia prolungata spiegheranno la specificità della natura umana associata appunto all’esistenza della cultura. Il nostro psichismo e la nostra cultura sarebbero paradossalmente il « prezzo da pagare » al nostro ritardo. Il pioniere dell’antropologia psicoanalitica spinge ancora più avanti. Per lui questa immaturità non è uniforme ; ci sarebbe come un « differenziale » tra il nostro « corpo » e le nostre potenzialità psichiche e sessuali. Per esempio abbiamo la capacità di amare e di desiderare prima addirittura di avere le possibilità di realizzarlo. Bisogna capire in questo modo l’osservazione di Géza Róheim : « spiegheremo in questo modo l’origine dei meccanismi di difesa opposti alle pulsioni libidinali come una conseguenza del nostro soma ritardato e dello sviluppo del nostro germe. »


Culture e trauma infantile specifico

A monte la Cultura si fonda sulla situazione infantile e a valle, le culture dipendono dalle specificità delle situazioni infantili. « La mia impressione è che, se avessimo una conoscenza psicoanalitica veramente approfondita di tutte le culture, sarebbe possibile evidenziare per ciascuna di esse qualcosa di similare, cioè l’esistenza d’una situazione infantile specifica, angoscia infantile o tendenza libidinale, giocando in ogni cultura un ruolo determinante. » scrive Róheim. Ognuna di queste situazioni possiede il proprio trauma. Dadoun riassume in modo chiaro tutto questo come segue : « Le interferenze massive e spesso brutali dell’adulto nello sviluppo libidinale del bambino – cure, gratificazioni, frustrazioni, repressione, seduzioni e sollecitazioni di ogni genere - compongono quello che Róheim chiama il trauma ontogenetico, matrice psicoculturale fondamentale. » [9].

Tra gli esempi di situazioni infantili, Róheim sviluppa così il trauma specifico degli abitanti di Normanby : « i padri hanno in effetti l’abitudine di prendere nella loro bocca l’organo genitale del bambino, e di dire ‘lo mangio, lo strappo con i denti’.Il processo di sviluppo può essere ricostruito, schematicamente, come segue : 1/ L’elemento base risiede nel desiderio del bambino : ‘desidero mangiare mia madre’. 2/ L’angoscia legata a questo desiderio è rafforzata dal traumatismo specifico che governa questa società : ‘mio  padre mi mangia’. In altri termini, la prima formula è fantasticata sotto la forma ‘mia madre mi mangia’, e questa formula è trasformata dalla pratica reale in quella ‘mio padre mi mangia’ ». L’esito di questi fantasmi, difese e traumi è la costituzione di una società organizzata intorno a ‘non ci sono padri (che possano mangiarti) ma soltanto madri che puoi mangiare’. Donde l’esistenza di clan matrilineari, sistemi di scambio complessi con doni e contro-doni ecc. Rimandiamo qui il lettore a uno dei maggiori libri di Géza Róheim, Psicoanalisi e antropologia.


Melodie culturali

Non è ovvio potersi soddisfare oggi d’interpretazioni così schematiche. In effetti, si può capire il senso che va dai fantasmi verso le istituzioni, ma bisognerebbe anche che si considerasse il ruolo delle istituzioni nella riproduzione delle condotte parentali e infantili. Se non fosse il caso, si capirebbe male la relativa stabilità culturale delle società. Nello stesso tempo la palese diversità delle società non può ‘cadere dal cielo’, deve per forza prendere origine da qualche parte. Se dobbiamo ricercare una qualunque risposta, dovrebbe trovarsi, a parer nostro, dalla parte dell’analisi del Super-io, unica istanza psichica che Freud fa venire da « l’esterno ». Il trauma ontogenetico specifico ad ogni cultura continua ad essere un’idea pertinente ma forse a patto che si consideri questa nozione come un fenomeno totale e non come un evento singolare (pure ripetuto). Coll’espressione fenomeno totale, intendiamo una specie di costellazione o di configurazione educativa nel senso più largo, configurazione disegnata, come lo sostiene Róheim , dal gioco singolare che le culture riservano alle pulsioni parziali, alle angosce che ne derivano e alle difese riconosciute o non come accettabili. Sono questi i tanti tasti o corde con le quali ogni cultura suona la propria melodia.

Questa metafora permette di pensare il controtransfert, almeno nella sua dimensione culturale, come l’esito delle posizioni psichiche e delle condotte che la mia propria cultura ha sollecitato o respinto, ha incoraggiato o represso, ha sublimato o inibito. In questo senso, lo straniero mi gratifica o mi minaccia, ma in ogni caso condividiamo con simpatia o antipatia, in modo manifesto o in modo latente, la stessa umanità.

Patrick Fermi - 2003

HomePageespacealto paginaespaceEthnopsychoanalysis Summary


Riferimenti bibliografici

 Tesi di Simone Bruschetta : I contorni della figura Etnopsicoanalitica sullo sfondo clinico della Psicologia Culturale

***********************
 
 Devereux Georges, Saggi di etnopsichiatria generale, Armando, Roma, 1978

 Malinowski Bronislaw (1920), Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi, Boringhieri, Torino, 1978

 Malinowski Bronislaw, Argonauti del Pacifico occidentale. Riti magici e vita quotidiana nella società primitiva. Torino, Bollati Boringhieri, 2004

 Nathan Tobie, La follia degli Altri, Ponte alle grazie, Firenze, 1990

 Róheim Géza, Origine e finzione della cultura, Feltrinelli, Milano, 1972
 
 Róheim Géza, Psicoanalisi e antropologia, Rizzoli, Milano, 1974
 
 Róheim Géza, L'enigma della Sfinge, ovvero le origini dell'umanità, Guaraldi, 1974
 
 Róheim Géza, Animismo magia e il re divino, Roma, Astrolabio, 1975


 

[1] « Come ? non avrebbe ano questa gente ? »

[2] È nel 1873 che fu decretata la fusione di tre città, Buda, Ó-Buda e Pest

[3] Dadoun Roger, Géza Róheim, Paris, Payot, 1972. Forse dovremmo aggiungere la tesi di dottorato d’etnologia nel 1979 di Kincsõ Verebélyi che conosciamo solo attraverso riferimenti bibliografici e di cui si può trovare un condensato intitolato Géza Róheim, pubblicato nella rivista Le Coq-Héron, n° 70, 1978

[4] A causa dei concetti propri a Róheim , il fatto che i suoi analisti siano un uomo e una donna non è affatto casuale

[5] Palmier (J-M), La Psychanalyse en Hongrie, dans l’Histoire de la psychanalyse (dir. Jaccard (R), Paris, Hachette, 1982

[6] In una delle lettere indirizzate alla sua analista Vilma Kovàcs, datata del 15 febbraio 1931 e scritta a Yuma nell’Arizona.

[7] Glowczweski Barbara, Entre Rêve et mythe : Róheim et les Australiens, in revue L’Homme, n°118, avril/juin 1991, p. 125-132

[8] Ho letto Róheim quando ero nella giungla indocinese…mi sono chiesto se fosse pazzo…al mio ritorno ho letto tutto tranne Freud…partendo soprattutto dai lavori di Rivers…quello che mi ha realmente convinto sono nel ‘38 i miei lavori sulla psichiatria mojava…mi sono detto « ma è del  Freud puro che mi predicano qui…mi sono allora convertito a Freud. » Trasmissione di France-Culture, Une vie, une œuvre : ‘Georges Devereux’ di Diane Kolnikoff

[9] Dadoun Roger, Géza Róheim, Encyclopaedia Universalis.

©  - Fermi Patrick - 17 septembre 1998 - création de cette page :  08/08/08